Miti e leggende
La Madonna della Cava
Nel 1223, viveva a Trapani un giovane, muto dalla nascita e assai devoto alla Madonna. Una notte vide in sogno la Madonna col Bambino che gli parlò soavemente per consolarlo. Poi gli ordinò di recarsi nelle vicinanze di Pietraperzia (Caltanisetta) in una grotta ai piedi di una collina situata ad oriente del paese, nel feudo detto delle Runzi. Scavando in quel luogo avrebbe rinvenuto una lapide rossa sulla quale era effigiata con Gesù lattante sul grembo promettendogli che avrebbe così acquistatao la parola. Gli rivelò pure il desiderio di diventare patrona del vicino paese e infine, dopo averlo rassicurato che lo avrebbe guidato lungo il viaggio, disparve.
Per tre notti di seguito fece quel sogno prima di convincersi ad intraprendere il lungo viaggio e alla fine accompagnato dai parenti, che confidavano come lui nelle promesse di Maria, lasciò Trapani. Il muto assistito da una miracolosa chiaroveggenza, riconosceva i luoghi per i quali passavano, come se li avesse visitati altre volte e giunto nel territorio di Pietraperzia fece intendere ai suoi che erano ormai vicini alla meta. Entrati nel paese e manifestato a tutti il motivo del loro viaggio furono da alcuni beffati da altri seguiti fino al luogo indicato da muto. Questo, giunto alla collina corse dritto alla grotta e lì rompendo in lacrime fece segno di voler scavare. Estratta poca terra si trovò l'immagine tale e quale era stata descritta nel sogno. A tale vista il muto felice, riacquistata la parola, gridò tre volte: "Viva Maria della Cava!"
Sparsasi la notizia della scoperta miracolosa una folla mosse in processione, accompagnata dai sacerdoti, per andare a venerare l'immagine. Qui giunta tentò di trasportare l'immagine nella cattedrale del vicino paese ma non fu possibile perchè appena coloro che la portavano cominciavano a camminare, la lapide si rompeva in mille frantumi e riacquistava subito la sua integrità quando quelli si fermavano. Avvenuto più volte questo prodigio e ricordando che la Vergine aveva chiesto di essere patrona di Pietraperzia, compresero tutti che in quello stesso luogo doveva essere costruita una nuova chiesa. Così in breve tempo sorse il santuario di Maria Santissima della Cava che da allora si trova incassato in una spaziosa grotta ai piedi della collina.
Nel 1223, viveva a Trapani un giovane, muto dalla nascita e assai devoto alla Madonna. Una notte vide in sogno la Madonna col Bambino che gli parlò soavemente per consolarlo. Poi gli ordinò di recarsi nelle vicinanze di Pietraperzia (Caltanisetta) in una grotta ai piedi di una collina situata ad oriente del paese, nel feudo detto delle Runzi. Scavando in quel luogo avrebbe rinvenuto una lapide rossa sulla quale era effigiata con Gesù lattante sul grembo promettendogli che avrebbe così acquistato la parola. Gli rivelò pure il desiderio di diventare patrona del vicino paese e infine, dopo averlo rassicurato che lo avrebbe guidato lungo il viaggio, disparve.
Per tre notti di seguito fece quel sogno prima di convincersi ad intraprendere il lungo viaggio e alla fine accompagnato dai parenti, che confidavano come lui nelle promesse di Maria, lasciò Trapani. Il muto assistito da una miracolosa chiaroveggenza, riconosceva i luoghi per i quali passavano, come se li avesse visitati altre volte e giunto nel territorio di Pietraperzia fece intendere ai suoi che erano ormai vicini alla meta. Entrati nel paese e manifestato a tutti il motivo del loro viaggio furono da alcuni beffati da altri seguiti fino al luogo indicato da muto. Questo, giunto alla collina corse dritto alla grotta e lì rompendo in lacrime fece segno di voler scavare. Estratta poca terra si trovò l'immagine tale e quale era stata descritta nel sogno. A tale vista il muto felice, riacquistata la parola, gridò tre volte: "Viva Maria della Cava!"
Sparsasi la notizia della scoperta miracolosa una folla mosse in processione, accompagnata dai sacerdoti, per andare a venerare l'immagine. Qui giunta tentò di trasportare l'immagine nella cattedrale del vicino paese ma non fu possibile perchè appena coloro che la portavano cominciavano a camminare, la lapide si rompeva in mille frantumi e riacquistava subito la sua integrità quando quelli si fermavano. Avvenuto più volte questo prodigio e ricordando che la Vergine aveva chiesto di essere patrona di Pietraperzia, compresero tutti che in quello stesso luogo doveva essere costruita una nuova chiesa. Così in breve tempo sorse il santuario di Maria Santissima della Cava che da allora si trova incassato in una spaziosa grotta ai piedi della collina.
“La leggenda della
Principessa Deliella”
Principessa Anita Deliella.
Il nonno della principessa, Calogero Drogo, era un mezzadro e non doveva passarsela tanto bene se aveva un asino e un vitello che insieme aggiogava all’aratro. Il fatto è alquanto strano: sarebbe stato più logico avere due muli. Probabilmente nei tempi dell’aratura faceva società col fratello, uno aveva l’asino e l’altro il vitello, o più probabilmente un giovane bue o, meglio, una mucca, la quale avrebbe potuto fornire latte.
Un giorno, mentre arava con questa coppia di bestie male assortita, il vomere s’inceppò nel terreno. «Aah!», avrà incitato le bestie a tirare, magari frustandole. L’aratro scattò con uno strappo e saltarono fuori alcune monete. Il contadino fermò il lavoro, sorpreso e meravigliato. Controllò: erano monete d’oro, i suoi occhi luccicarono, il cuore accelerò i battiti. Grattò il terreno con le mani: ce n’erano ancora, ce n’erano tante. Non sappiamo se nella sperduta campagna ci fossero altri contadini che potessero vedere, per cui era consigliabile rimandare la ricerca, ma quando la fece dovette scavare parecchio: sotto terra scoprì una “vitellina”, cioè una pelle di vitello, piena di monete d’oro e d’argento, un tesoro! Ma chi l’aveva nascosto?
Che in quella contrada ci fosse stato un convento di monaci briganti molto potenti e audaci.? Dicevano i ragazzi che ne sapevano di più, che una sera un principe con la moglie e la scorta chiesero ospitalità. I monaci la concessero ma obbligarono gli sposi a dormire separati, appellandosi alla regola che faceva divieto nel monastero a un uomo e una donna di dormire insieme anche se fossero sposati, in realtà era una scusa per tenerli separati e poter abusare della principessa. Non parliamo poi delle razzie nel circondario, dei furti, delle rapine e delle ragazze che venivano rapite e delle quali non si sapeva più nulla.
“Tre donne marcia e binni”
Un illustre cittadino pietrino, Antonio Tortorici, racconta così il fatto delle “tri donni marcia e binni”: “A Pietraperzia cc’è un castiddu anticu, ca ’u fabbricare li Saracini. Sutta lu castiddu cci sunu tanti cammari quantu li jorna di l’annu. Na vota tri donni vutru scinniri ’nti stu suttirraniu e accumminzaru a camminari. ’Nti sti cammari cc’era lu lazzu ppi nun si pirdirisi nuddu, e li donni cu na manu jiavnu tininnu lu lazzu, e cu l’autra jivanu tininnu la cannila. Mentri ca taliavanu na cosa, un sacciu socch’era, ardiru lu spacu, e si pirsiru a mizzu li cammari, senza putiri nnesciri cchiù; e pir chissà misiru a li tri donni lu nnomu di li tri donni marcia e bbinni , pirchì caminavanu e cci abbinni stu fattu”. In altri racconti popolari v’è la variante che le donne nell’entare nel castello legarono il bando d’un gomitolo di lana al battente del portone d’ingresso ed un mal intenzionato lo recise facendo perdere così le tre donne nei sotterranei.
Questo racconto, tra storia e leggenda, è il caso proprio di dire “ si cunta e ssi rraccunta…”. La storia di queste tre sventurate donne fu un fatto realmente accaduto durante il regno di Federico II di Svevia (1194-1250). I fatti narrano che le tre donne furono portate sotto buona sorveglianza da Napoli a Palermo ed erano le mogli di Teobaldo, Francesco e Guglielmo Sanseverino. Questi tre nobili fratelli, abbandonata la causa di Federico II di Svevia si erano uniti alla causa del papa Gregorio IX. Fatti arrestare dal re furono bruciati vivi. Non pago di tanta vendetta si sfogò sulle loro mogli e sui figli che fece portare a Palermo e rinchiusi nelle carceri del regio palazzone morirono d’inedia e nessuno sentì più parlare di loro. Nel 1550, il Viceré don Ferdinando de Vega (1549-51) , nel far restaurare il palazzo reale di Palermo, gli operai scoprirono sotto la “Torre rossa”, dove stavano i prigionieri, i cadaveri delle tre donne.
Nel 1223, viveva a Trapani un giovane, muto dalla nascita e assai devoto alla Madonna. Una notte vide in sogno la Madonna col Bambino che gli parlò soavemente per consolarlo. Poi gli ordinò di recarsi nelle vicinanze di Pietraperzia (Caltanisetta) in una grotta ai piedi di una collina situata ad oriente del paese, nel feudo detto delle Runzi. Scavando in quel luogo avrebbe rinvenuto una lapide rossa sulla quale era effigiata con Gesù lattante sul grembo promettendogli che avrebbe così acquistatao la parola. Gli rivelò pure il desiderio di diventare patrona del vicino paese e infine, dopo averlo rassicurato che lo avrebbe guidato lungo il viaggio, disparve.
Per tre notti di seguito fece quel sogno prima di convincersi ad intraprendere il lungo viaggio e alla fine accompagnato dai parenti, che confidavano come lui nelle promesse di Maria, lasciò Trapani. Il muto assistito da una miracolosa chiaroveggenza, riconosceva i luoghi per i quali passavano, come se li avesse visitati altre volte e giunto nel territorio di Pietraperzia fece intendere ai suoi che erano ormai vicini alla meta. Entrati nel paese e manifestato a tutti il motivo del loro viaggio furono da alcuni beffati da altri seguiti fino al luogo indicato da muto. Questo, giunto alla collina corse dritto alla grotta e lì rompendo in lacrime fece segno di voler scavare. Estratta poca terra si trovò l'immagine tale e quale era stata descritta nel sogno. A tale vista il muto felice, riacquistata la parola, gridò tre volte: "Viva Maria della Cava!"
Sparsasi la notizia della scoperta miracolosa una folla mosse in processione, accompagnata dai sacerdoti, per andare a venerare l'immagine. Qui giunta tentò di trasportare l'immagine nella cattedrale del vicino paese ma non fu possibile perchè appena coloro che la portavano cominciavano a camminare, la lapide si rompeva in mille frantumi e riacquistava subito la sua integrità quando quelli si fermavano. Avvenuto più volte questo prodigio e ricordando che la Vergine aveva chiesto di essere patrona di Pietraperzia, compresero tutti che in quello stesso luogo doveva essere costruita una nuova chiesa. Così in breve tempo sorse il santuario di Maria Santissima della Cava che da allora si trova incassato in una spaziosa grotta ai piedi della collina.
Nel 1223, viveva a Trapani un giovane, muto dalla nascita e assai devoto alla Madonna. Una notte vide in sogno la Madonna col Bambino che gli parlò soavemente per consolarlo. Poi gli ordinò di recarsi nelle vicinanze di Pietraperzia (Caltanisetta) in una grotta ai piedi di una collina situata ad oriente del paese, nel feudo detto delle Runzi. Scavando in quel luogo avrebbe rinvenuto una lapide rossa sulla quale era effigiata con Gesù lattante sul grembo promettendogli che avrebbe così acquistato la parola. Gli rivelò pure il desiderio di diventare patrona del vicino paese e infine, dopo averlo rassicurato che lo avrebbe guidato lungo il viaggio, disparve.
Per tre notti di seguito fece quel sogno prima di convincersi ad intraprendere il lungo viaggio e alla fine accompagnato dai parenti, che confidavano come lui nelle promesse di Maria, lasciò Trapani. Il muto assistito da una miracolosa chiaroveggenza, riconosceva i luoghi per i quali passavano, come se li avesse visitati altre volte e giunto nel territorio di Pietraperzia fece intendere ai suoi che erano ormai vicini alla meta. Entrati nel paese e manifestato a tutti il motivo del loro viaggio furono da alcuni beffati da altri seguiti fino al luogo indicato da muto. Questo, giunto alla collina corse dritto alla grotta e lì rompendo in lacrime fece segno di voler scavare. Estratta poca terra si trovò l'immagine tale e quale era stata descritta nel sogno. A tale vista il muto felice, riacquistata la parola, gridò tre volte: "Viva Maria della Cava!"
Sparsasi la notizia della scoperta miracolosa una folla mosse in processione, accompagnata dai sacerdoti, per andare a venerare l'immagine. Qui giunta tentò di trasportare l'immagine nella cattedrale del vicino paese ma non fu possibile perchè appena coloro che la portavano cominciavano a camminare, la lapide si rompeva in mille frantumi e riacquistava subito la sua integrità quando quelli si fermavano. Avvenuto più volte questo prodigio e ricordando che la Vergine aveva chiesto di essere patrona di Pietraperzia, compresero tutti che in quello stesso luogo doveva essere costruita una nuova chiesa. Così in breve tempo sorse il santuario di Maria Santissima della Cava che da allora si trova incassato in una spaziosa grotta ai piedi della collina.
“La leggenda della
Principessa Deliella”
Principessa Deliella”
Principessa Anita Deliella. |
Un giorno, mentre arava con questa coppia di bestie male assortita, il vomere s’inceppò nel terreno. «Aah!», avrà incitato le bestie a tirare, magari frustandole. L’aratro scattò con uno strappo e saltarono fuori alcune monete. Il contadino fermò il lavoro, sorpreso e meravigliato. Controllò: erano monete d’oro, i suoi occhi luccicarono, il cuore accelerò i battiti. Grattò il terreno con le mani: ce n’erano ancora, ce n’erano tante. Non sappiamo se nella sperduta campagna ci fossero altri contadini che potessero vedere, per cui era consigliabile rimandare la ricerca, ma quando la fece dovette scavare parecchio: sotto terra scoprì una “vitellina”, cioè una pelle di vitello, piena di monete d’oro e d’argento, un tesoro! Ma chi l’aveva nascosto?
Che in quella contrada ci fosse stato un convento di monaci briganti molto potenti e audaci.? Dicevano i ragazzi che ne sapevano di più, che una sera un principe con la moglie e la scorta chiesero ospitalità. I monaci la concessero ma obbligarono gli sposi a dormire separati, appellandosi alla regola che faceva divieto nel monastero a un uomo e una donna di dormire insieme anche se fossero sposati, in realtà era una scusa per tenerli separati e poter abusare della principessa. Non parliamo poi delle razzie nel circondario, dei furti, delle rapine e delle ragazze che venivano rapite e delle quali non si sapeva più nulla.
“Tre donne marcia e binni”
Un illustre cittadino pietrino, Antonio Tortorici, racconta così il fatto delle “tri donni marcia e binni”: “A Pietraperzia cc’è un castiddu anticu, ca ’u fabbricare li Saracini. Sutta lu castiddu cci sunu tanti cammari quantu li jorna di l’annu. Na vota tri donni vutru scinniri ’nti stu suttirraniu e accumminzaru a camminari. ’Nti sti cammari cc’era lu lazzu ppi nun si pirdirisi nuddu, e li donni cu na manu jiavnu tininnu lu lazzu, e cu l’autra jivanu tininnu la cannila. Mentri ca taliavanu na cosa, un sacciu socch’era, ardiru lu spacu, e si pirsiru a mizzu li cammari, senza putiri nnesciri cchiù; e pir chissà misiru a li tri donni lu nnomu di li tri donni marcia e bbinni , pirchì caminavanu e cci abbinni stu fattu”. In altri racconti popolari v’è la variante che le donne nell’entare nel castello legarono il bando d’un gomitolo di lana al battente del portone d’ingresso ed un mal intenzionato lo recise facendo perdere così le tre donne nei sotterranei.
Questo racconto, tra storia e leggenda, è il caso proprio di dire “ si cunta e ssi rraccunta…”. La storia di queste tre sventurate donne fu un fatto realmente accaduto durante il regno di Federico II di Svevia (1194-1250). I fatti narrano che le tre donne furono portate sotto buona sorveglianza da Napoli a Palermo ed erano le mogli di Teobaldo, Francesco e Guglielmo Sanseverino. Questi tre nobili fratelli, abbandonata la causa di Federico II di Svevia si erano uniti alla causa del papa Gregorio IX. Fatti arrestare dal re furono bruciati vivi. Non pago di tanta vendetta si sfogò sulle loro mogli e sui figli che fece portare a Palermo e rinchiusi nelle carceri del regio palazzone morirono d’inedia e nessuno sentì più parlare di loro. Nel 1550, il Viceré don Ferdinando de Vega (1549-51) , nel far restaurare il palazzo reale di Palermo, gli operai scoprirono sotto la “Torre rossa”, dove stavano i prigionieri, i cadaveri delle tre donne.
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